Q come Quaglia

di 2bePOP - 9 novembre 2013

quagliaMi sono sentito fratello del gabbiano, maestoso nel volo ma capace di cibarsi di immondizia. Certo non cauto e acuto come il falco, e neanche guardingo come il gufo, dagli invidiabili occhi color arancia. Spesso tonto come una tortora, che pur di svolazzare finisce in bocca allo sparviero.

In realtà sono una quaglia.  Bella nel piumaggio  ma buona solo come pasto per i rapaci.

Me l’ero detto all’inizio dell’esperienza alla Lipu, che dovevo parlare solo agli uccelli, perchè i veri rapaci non sono i pennuti.

Ma il sanfranceschismo è durato tre mesi. In cui ho imparato ancora. Che miseria e delazione appartengono all’uomo come l’istinto alla predazione è proprio delle bestie.

Certo, loro lo fanno per sussistenza, gli animali umani per vanagloria e potere, di attaccare chi è in condizione di asimmetria relazionale, per metterlo nelle condizioni di essere sconfitto.

Io che capisco tutto bene quanto agisco male, ci sono cascato come un asino e all’ennesima provocazione da parte di una volontaria della struttura presso cui prestavo volontariato sette ore al giorno per non morire di pensieri chiuso nella mia casa-cella, ho dato grande esibizione delle mie invidiabili capacità di invettiva coprolalica, e quindi per stronza l’ho presa e per buttana l’ho lasciata, e sono tornato alla mia dorata magione, in attesa di un altro impiego da detenuto, sperando di trovare me stesso, o ciò che rimane e che sarà.

Coraggio o ancoraggio, cos’è la scrittura?

Voglia di esistere o annientamento esibito, brama di fama o pace dell’anima, catarsi o perversione? Dimmelo tu, signor Limonov, nato punk iconoclasta senza volerlo per tramutarsi in icona idolatrata da molti e letto da pochi, osannato per la tua biografia che ti ha portato ad essere tutto per tornare al nulla quanto ignorato per la tua poesia e la tua prosa, nemico del mondo e amante delle platee, frocio d’America e nazbol di madre Russia, teppista belluino e serio carcerato, Jean Jenet dei tempi nostri con l’aplomb di un Andy Warhol in versione soviet.

Quindi Carrére, Limonov, Dostoevsky, Tristano e Isotta di Thomas, Mempo Giardinelli e Zarathustra sono i miei compagni di letto, promiscuità e bulimia bibliofila per non pensare alla Ferita primordiale, quella che anima il primo capitolo del Cabaret Mistico di Jodorowsky, unica sua cosa che ho deciso di leggere, con somma soddisfazione, qualche anno fa.

Più leggo e più ho l’ansia di quanto non so, e più capisco che nascere figlio d’intellettuali non conviene troppo, perchè il confronto con la Ferita e il Feritore generanti impiegherà gran parte della tua vita, sospeso tra ribellione e imitazione, tra voglia di stupire e paura di fallire, incastrato come l’aereoplano di  carta tra i rami dell’albero che sta sotto il balcone da cui l’hai lanciato con l’intenzione di prendere in testa la testa calva del portinaio di casa di tua nonna.

Q come Quando esco, andrò in Spagna e aprirò un business di bici elettriche con Tony C e Mrrrr, miei fidi scudieri del tempo in cui eravamo re con Attila,  a bere vino rosso per non crepare di overdose di Jamon Bellota, oppure andrò in Olanda, isolato dall’impossibilità di padroneggiare una lingua ostica quanto il clima, ovattato da ganja legale quanto basta a vendere arancini tricolori al fianco del prode Vassallo, per trovare nel gelo del nord l’anti-infiamatorio dell’anima che ancora non hanno inventato, e a scongelarsi nei coffee shop con Stella portando al guinzaglio il suo gatto come fosse un procione domestico, guardando come pesci morti dopo un’esplosione nell’acquario tutti gli ominidi che si affannano nei meandri dell’Impero, elemosinanti che chiedono la questua ad altri elemosinanti, a scambiare l’amore con la prostituzione, in una via del Campo estesa a tutto un mondo alla rovescia.

Perchè non a Parigi, con Claudio P come Pilosofo, a metter a frutto il mio talento naturale per l’erre moscia, a passeggiare lungo la Senna,  confortando le mie ansie multicolore tra i tetti di ardesia intrisi di poesie levate al cielo e di angeli caduti in terra, flaneur fuori tempo massimo e con un look da panozzo anni ’80 cui ormai non riesco più a sottrarmi, in odio a tutti i trend e ai miscugli stilistici sottoculturali   che la nostra società Mtv ha diffuso con lo stesso candore con cui i funzionari delle dogane non si accorgono del carico da 2 quintali di eroina che gli passa alle spalle mentre arrestano  il pischello con due canne in tasca.

No, forse meglio a andare a fare il Tano a Buenos Aires tra asado e dulce de leche, che amo senza averla mai visitata se non attivando i reattori a reazione inconsulta della mia fervida e marcescente immaginazione di vecchio bambino, perchè ha dato i natali a quella splendida persona di Alejandrito, mio compagno di banco nella scuola della vita. Oppure a scrivere documentari e a realizzarli in giro per il mondo con Marghe, che nonostante la mia violenza di giovane anti-tutto abbia colpito lei per prima, diciotto anni fa, mi vuole sempre un gran bene, grazie alle fossette sulle sue guance.

Con Mirkotauro sennò, a fare un casting per il reality La Fogna, lui nella parte del drogato di lato, io in quella del drogato visto di fronte, con Nino Frassica come Dio secondario di una trinità che  prevede Corrado Guzzanti al vertice e BobMallo al posto dello Spirito Santo.

Anzi ho deciso: coltiverò gladioli nel giardino del presidente Mujica, montando cavalli nocciola per prendere al lazo mucche pezzate, in campagna ma vicino a Montevideo, alternando tazze di mate a bistecche gustose, cucinando di tanto in tanto gli spaghetti alla Gianluca.

Basta poco per vivere tranquilli.

Per tutto il resto c’è Mastercard, Masterchef e financo Masterpiece.

Gianluca Vittorio

 

  • Ofherb

    Sei grande. Punto.

  • G

    Solo quando scrivo