Sin/Cos: ecco l’intervista

di 2bePOP - 31 marzo 2014

sin_cos_promoPrendere tempo. Quello che sembra un male, almeno in questi nostri tempi così fulminei, potrebbe essere comunque una necessità. Non è il caso di generalizzare, ma, spesso, qualcuno ha necessità di metabolizzare ciò che gli accade prima di esternarlo. Maolo Torreggiani in questo è un asso. Non dorme sugli allori, assolutamente no, però è capace di pensare e ripensare ai moti del suo animo e di trasformare le cicatrici in canzoni. La sua nuova incarnazione artistica è Sin/Cos e passa per gli ultimi risultati del pop internazionale, secondo una geometria che supera l’Italia rendendola propriamente e matematicamente l’Europa meridionale. Ci ha messo un po’ per rifinire i brani ma adesso il disco, battezzato Parallelograms, è in viaggio verso la nostra dimensione.

Il sound è contemporaneo. Frutto di una generazione che ha metabolizzato l’hip hop e le evoluzioni del boom bap, ma anche l’abolizione delle frontiere fisiche, linguistiche e di genere. La melodia riporta tutto a casa, ma senza souvenir inutili come statuette del Colosseo o le famose madonnine contundenti, semmai se qualcosa di italiano c’è da salvare è quell’amore imperante che ha animato milioni di canzoni sanremesi ma anche la soul music afroamericana. “Mi sono fissato sulla black music e diciamo che, riappropriandomi di una mia vecchia passione per la melodia, in questa occasione ho deciso di sperimentare sonorità black infarcite però di melodia, quindi forse più che di hip hop potremmo definirle r’n'b”, risponde fiero l’autore dell’album, perché di un vero e proprio album si tratta. Il rimando ritmico è inevitabilmente a Funeralistic, disco precedente, pubblicato sotto la sigla Quakers And Mormons, incentrato su una denudata tragicità legata al lutto paterno (del quale avevamo chiacchierato su Rolling Stone all’epoca).

Eppure, trattandosi per Maolo anche di un’esigenza artistica, il richiamo è anche concettuale. Se gli psicoanalisti chiamano lutto anche la fine di un rapporto di coppia, pure questa volta le canzoni sono legate ad un unico concetto. Parlare di album e non di disco, di artista e non di musicista, a questo punto sembra più che palese. “Il parallelismo fotografico lo abbiamo fatto proprio in occasioni funeralistiche”, ricorda a cuore aperto il giovane genietto del pop italiano in riferimento alla nostra vecchia chiacchierata e poi contestualizza che “adesso i parallelogrammi incorniciano un momento diverso della mia vita: raccontano infatti di un rapporto personale con l’amore e ne evidenziano autobiograficamente alcuni momenti trascorsi con una persona; come un flashback il disco parte dall’ultima volta che ho visto questa ragazza e le tracce ripercorrono il tutto fino ad arrivare alla prima sera in cui l’ho conosciuta”.

Un’attitudine cinematografica che non è però alla ricerca di consequenzialità: “Non ci sono né cause né effetti: trattasi esclusivamente di descrizioni, di immagini che probabilmente, ad una prima lettura potrebbero essere mere descrizioni ambientali o emotive ma che in realtà nascondono un significato personale e dei momenti realmente vissuti”. Non c’è platealità, per assurdo, difatti se si ipotizza che sotto la cenere possa esserci ancora il fuoco che brucia, Maolo ironizza ponendosi un dubbio: “Quindi l’amore è un po’ come una patata in cartoccio sotto la cenere?”. Oltre ad essere un musicista, del resto, lui è uno chef. “Il sound italiano non credo mi appartenga molto, diciamo che il mio lato italo lo esprimo di gran lunga di più in cucina; adesso sono tutti cuochi, poi con l’ avvento massificatorio delle vaccate che Bbc channel propone questo trend è magicamente diventato una costante del nostro tempo, un po’ come con l’ avvento di instagram sono tutti diventati fotografi, con l’introduzione di masterchef sono tutti diventati cuochi. Per me la cucina è una passione molto intima, un po’ come la musica, è grazie a mia madre e a mia nonna se cucino e se amo cucinare, tutte le nozioni le ho apprese da loro, ed ho semplicemente trovato un mestiere che mi appaga fortissimamente. Quindi niente di più bello: faccio un lavoro che mi appaga.”

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Sono bravi tutti a seguire le mode mentre le si ridicolizzano? Ebbene, a parte che si possono computare i tempi di Maolo con i tempi moderni, potrebbe, comunque, bastare già l’onestà con la quale lui tenta di sublimare le proprie inquietudini nella forma canzone per smentire un’eventuale accusa di dozzinalità. Si tratta di un ragazzo giovanissimo che può comunque riassumere bene gli ultimi 10 anni di musica italiana da protagonista assoluto, sempre che per esserlo non bisogni passare per Sanremo e la cecità di un sistema in declino irreversibile. “Effettivamente sono già passati 10 anni e in questi 10 anni ne abbiamo viste un sacco: siamo partiti con la cavalcata delle prime piattaforme sociali sul web, per poi finire alla massificazione di queste ed a un loro deciso crollo, soprattutto per quanto riguarda il mero music biz; più che altro, quando ero più giovane, pieno di forze e tronfio anche di quel sano egocentrismo adolescenziale, ero indubbiamente più sul pezzo. A distanza di 10 anni molte cose si sono affievolite, o forse più che affievolite si sono sopite, la vecchiaia o la maturità, anche se è un termine che non amo molto usare visto che non ne capisco a pieno il senso, ti smussano sotto certi punti di vista e ti accentuano altri lati del carattere rendendoti in talune occasioni un babbo natale buonone o un giga grinch. In tutto questo, però, la mia passione per la musica non si è affievolita, sebbene non sia più ingenuo e pieno di speranze come quando avevo 19 anni, ciononostante non la vivo male anzi, l’essere più distaccato da alcune dinamiche deleterie del nostro ambito musicale mi aiutano ad andare avanti in maniera più libera. Diciamo, comunque che, per sei anni, ho suonato con i My Awesome Mixtape, poi è stata la volta di Quakers And Mormons e adesso sono Sin/Cos”.

Questa è la storia, questi tre i nomi delle band. Sì, band: perché anche in questa nuova avventura Maolo non è da solo. Anzi, oltre che fare il nome di Vittorio Marchetti (Altre di b), si potrebbe azzardare che abbia scelto di avvalersi di uno tra quelli che stanno costruendo la nuova scena elettronica nostrana di derivazione hip hop (per dirla con Damir Ivic). Sebbene più che di un complesso vero e proprio si tratti di una peculiarità che si (ri)coniuga diversamente ad ogni album: “In realtà il gioco della scelta del collaboratore è un must che mi sto portando dietro da Quakers and Mormons, solo che allora la scelta non poteva che ricadere su Lord Odio e quindi sul suono cupo di Rico dei Uochi Toki, e, in questo caso, essendomi indirizzato verso sonorità decisamente più urban mi sono avvalso del migliore sulla piazza, ovvero Godblesscomputers, che preferisco chiamare Lorenzo o Nada; lo conosco dai tempi dei My Awesome: lui era il dj producer di una crew ravennate chiamata Il Lato Oscuro Della Costa, all’ epoca, e ci è capitato di suonare assieme ma, sia io che lui, avevamo ascolti differenti e probabilmente parlavamo proprio lingue diverse. Da quando si è trasferito a Bologna, quindi da poco più di un anno, il nostro rapporto amicale è venuto a consolidarsi e anche gli ascolti; dunque, la primavera scorsa, ho iniziato a fargli sentire i provini che stavo imbastendo e, in maniera quasi naturale, abbiamo deciso di collaborare; per tutta la primavera e l’estate, dopo il lavoro mi ritrovavo spesso a casa del buon Nada a (ri)registrare tracce di voce, a sentire i cambiamenti che apportava ai suoi beat e ovviamente anche a mangiare. Così, Parallelograms ha indubbiamente un tocco godblesscomputeriano, che si sente pienamente, e ne sono felice”.

Ed ecco il punto: la felicità. Uno stato d’animo che Maolo raggiunge cucinando e suonando, ovvero attraverso le sue passioni. Passioni con le quali disegna album che vengono da un vissuto personale che tramuta in testi, cosa tipica dell’hip hop, certo, ma senza i pudori di chi mostra solo l’orgoglio e non le ferite ancora vive. Ferite che si rimarginano sublimando proprio quei lutti. Persone che scompaiono e nuovi amici che, al contrario, si concretizzano dentro le stesse canzoni. In più un’attitudine internazionale che sa rivisitare la ricetta tipica del pop italiano con ingredienti nuovi e una lingua mondiale. Sembra un prodotto studiato a tavolino e invece il lato prettamente umano è rintracciabile addirittura nelle voci robotiche che cantano i brani di questo parallelogramma. “Di harmonizer si tratta, non di autotuning, laddove un auto-tune ti corregge in post produzione le note sbagliate e un harmonizer è, invece, come se fosse uno strumento musicale, come se fosse un flauto nel quale, soffiando, fai uscire le note giuste, pigiando i bottoni giusti”. Una coincidenza? Beh, forse nulla succede per caso…

Stefano Cuzzocrea