Venuto al mondo come la vecchiaia imperante

di 2bePOP - 19 dicembre 2012

venuto_al_mondoC’era molta attesa per “Venuto al Mondo” di Sergio Castellitto. Una mega produzione italiana destinata soprattutto al mercato cinematografico internazionale uscita ridimensionata e frustrata dalla pessima accoglienza riservatale alle anteprime dei festival di San Sebastian e Toronto. In patria molti ne hanno parlato come di un’occasione sprecata per il cinema italiano di largo consumo, soprattutto in virtù del successo del libro da cui è tratto e del considerevole sforzo produttivo tradotto  nella presenza della star Penelope Cruz, ormai una di famiglia per la coppia Castellitto- Mazzantini, e del sempre più famoso  americano Emile Hirsch. Le perplessità della critica sono grosso modo condivisibili anche se il film a tratti è godibile. Uno dei suoi limiti più grandi è quello di non riuscire ad emozionare, handicap quest’ultimo  insormontabile per un regista il cui unico scopo è quello di colpire al cuore lo spettatore.

“Venuto al mondo” è un melò e quindi assolverà il suo compito fin tanto che il pubblico sarà costituito da over 50, che lo troveranno magari duro e stupendo. Non sfigurerebbe se mandato in onda la domenica sera su canale 5 in due puntate. Gemma, una donna romana interpretata da Penelope Cruz che però recita con uno spiccato accento spagnolo, vive una intensa storia d’amore con Diego, Emile Hirsch, un fotografo americano  conosciuto in Jugoslavia alla fine degli anni 80. Dopo una serie di eventi, la donna però scoprirà di essere sterile e ciò condizionerà la sua relazione tanto da convincere Aska, una musicista di Sarajevo, a concepire con Diego il figlio che tanto desideravano. Nel mezzo, la guerra dei Balcani ed un colpo di scena finale. In verità la trama è ben più complessa e piena di reconditi significati, tuttavia, non sempre ciò che funziona o che emoziona in un’opera letteraria può risultare egualmente efficace in un film. Se in “Non ti muovere” gli ingredienti altrettanto complessi erano stati ben amalgamati da Castellitto e consorte, questa volta tutto risulta confuso e banalizzato. Probabilmente il nuovo montaggio ed i tagli a cui la pellicola è stata sottoposta dopo le anteprime non le  hanno giovato, ma le maggiori responsabilità del flop sembrano risiedere proprio nella sceneggiatura.

Ci sono scene e dialoghi imbarazzanti, una su tutte la scenata di gelosia tra i protagonisti durante la distribuzione degli aiuti umanitari a Sarajevo. Risulta oltremodo irritante e caricaturale il personaggio del poeta slavo Gojko così come le sequenze che ritraggono i protagonisti in una Sarajevo pre conflitto popolata da artisti, libera e freakkettona. Inutili e di cattivo gusto i dialoghi su Kurt Kobain così come le scelte musicali della colonna sonora. Incomprensibile poi la scelta di far recitare la parte di Pietro, il figlio conteso, al vero figlio di Sergio Castellitto. Questi interpreta il marito di Gemma e quindi padre adottivo del ragazzo che però nella realtà gli somiglia tantissimo. Per quanto Sergio Castellitto si confermi un regista tecnicamente e visivamente  dotato, l’impressione è che lavorare con la moglie lo condizioni non poco. Il loro sguardo sul mondo è sempre quello di due intellettuali borghesi da un osservatorio privilegiato, visione che trasferiscono sui protagonisti del film alle cui vicende non riusciamo ad appassionarci. Il conflitto balcanico e la caduta di Sarajevo sono soltanto un pretesto per il regista e fanno da semplice sfondo ad un amore che sullo schermo non decolla, anche la scelta di narrazione sfasata temporalmente non aiuta e rende involontariamente ridicola l’apparizione di un muto Vinicio Marchioni. Ma sono il dialogo e la rivelazione finale, con tanto di Kurt Cobain,  ad annullare quel poco di buono che si era visto. Sentire l’odioso poeta slavo urlare a Gemma in partenza  “è grazie la parola più importante” è la degna fine di un film poco riuscito.

Francesco Sapone