Piccole, come le cose importanti. L’approdo di Niccolò Fabi

di Marco Todarello - 26 maggio 2016

Niccolo Fabi al PianoforteChi lo segue da vent’anni, ha sempre saputo che Niccolò Fabi prima o poi sarebbe approdato a un porto, un luogo di pace e sospeso dal tempo dove scrivere il suo disco più intimo e personale di sempre. Una somma di piccole cose è così, nove canzoni «nate in solitudine, in una condizione in cui si è portati a scavarsi dentro così a fondo che è come se aveste in mano le mie analisi del sangue».


E l’auditorium di Milano, con il suo ambiente raccolto e l’acustica perfetta, sembra il luogo ideale per ascoltarle. Fuori, la pioggia di maggio fa il resto.
Melodie che fluiscono lente e delicate, tra accordi di cui ormai si riconosce il marchio di fabbrica dopo due sole note, tanto è definito lo stile che Fabi ha saputo costruire nel tempo.
Facciamo finta è da pelle d’oca, perché ci prende per mano e ci porta nell’intimità della sua famiglia, duramente messa alla prova dalla perdita della figlia Olivia, Filosofia agricola è invece la summa della nuova vita del cantautore, che un anno fa ha lasciato Roma per trasferirsi in campagna: è là, nel silenzio e nell’abbraccio della natura, che l’uomo è davvero solo con sé stesso, capace di dirsi cose che di solito tende a sfuggire.
E così l’auditorium si trasforma in focolare, come in certe sere d’inverno in cui solo la pioggia, o lo scoppiettio della legna nel camino, sono in grado di rompere il silenzio.
Si sta seduti in platea ma è come se intorno ci fosse il paesaggio della copertina del disco: il cielo, le nuvole, gli alberi, e sullo sfondo un orizzonte da guardare e su cui meditare.
È un ascolto quasi religioso, che Fabi guida compiaciuto accompagnato dai quattro musicisti della sua nuova band, con in testa il cantautore torinese Alberto Bianco. Due chitarre, un basso e le percussioni.

Niccolo Fabi in concerto

C’è anche un pianoforte elettrico rosso, ed è proprio lui a suonarlo in diversi brani. È un Fabi che sperimenta, a 48 anni appena compiuti, riarrangiando alcuni pezzi: un grande classico come Il negozio di antiquariato, offerto in musica per la voce del pubblico, e anche la nuova Vince chi molla, tre parole diventate anche il motto del tour, e che troviamo stampate sulle magliette del merchandising.
E d’improvviso ci troviamo nel cuore della notte, nel momento in cui tutto è silenzio, Vince chi molla però non è una celebrazione della sconfitta: è piuttosto una canzone sulla paura: la paura dell’assenza, delle trasformazioni, delle separazioni, e di quel groppo in gola che a volte ci prende ma non va contrastato, piuttosto va fatto fluire, perché solo accettando la sofferenza è possibile una vita serena. Ed è per questo che «per ogni tipo di viaggio è meglio avere un bagaglio leggero».
Il suono di Fabi ricorda sempre di più i Bon Iver, che lui stesso ha citato tra i gruppi che lo hanno ispirato, insieme al cantautore Sufjan Stevens, nuovo protagonista della scena folk e indie statunitense. Prima del finale dedicato ai suoi brani più noti, c’è spazio per Giovanni sulla terra, uno dei pezzi che Niccolò ha scritto per Il padrone della festa, l’album realizzato con Daniele Silvestri e Max Gazzè.
Una storia bellissima, il racconto della giornata tipo di un uomo che lotta affinché la sua vita assomigli il più possibile ai propri desideri.
«L’esperienza con Max e Daniele è stata importante per tutti noi – racconta – perché il cantautore tende sempre all’ egocentrismo e non è quasi mai disposto all’ascolto. Quell’avventura ci ha fatto uscire da una bolla e ci ha spinto ad aprirci al confronto: per crescere bisogna confrontarsi».

Il finale del concerto è qualcosa di già visto: aumenta il volume, aumentano i bpm, e si scalda anche il pubblico che lascia le poltroncine per ballare davanti al palco. Del resto Lasciarsi un giorno a Roma, e i fan della prima ora lo sanno bene, è un pezzo che pur raccontando di un amore finito riesce a trasmettere energia positiva, è una spinta verso la libertà di una scelta, il racconto a tratti ironico di due anime che hanno bisogno di prendere ognuno la propria strada. Una canzone scritta nel 1998 e lontana anni luce dal Fabi di oggi, così impegnato a scandagliarsi l’anima nel silenzio dei boschi.
E posto che Una somma di piccole cose assomiglia tanto a un giro di boa, alla conclusione di un percorso iniziato nel 1995, chissà che in futuro Fabi non riesca a stupirci, cambiando completamente rotta.