Intervista a Rodion: psichedelia, libido e la teoria dell’essenzialità fatta per tre

di 2bePOP - 20 novembre 2013

rodion2Sono passati nove mesi. Nessun parto, semmai un party, o meglio qualcuno in più. Allora faceva freddo. Le scale erano buie. Scenderle, però, è stato come trovare un’ illuminazione dove non c’era ed anche un punto di non ritorno. Più che una sala concerti il piano inferiore del Dal verme è una stanzetta angusta piena di passioni, anzi per quel concerto di Rodion ne era addirittura stracolma. Lo avevo sentito suonare in mille circostanze, compreso un matrimonio, ma quella volta il palco pareva un cantiere aperto e mi è sembrato il caso di contattarlo per questa intervista. Perché? Per amore dell’ideale chiamato cambiamento, ovvero la cosa che da sempre (mi) affascina e intimorisce (pure).

La mutazione consta di una dicotomia che è ossimoro quanto essenziale: audacia e scrupolo, propensione al futuro e radici ben salde nel passato; in questo caso dance e rock, se c’è bisogno di indizi tangibili. C’era, infatti, un batterista, oltre all’intestatario del progetto, Edoerado, e al suo fido compagno di scorribande. Un elemento che riusciva a spostare l’asse della performance verso la classicità che poco ha a che fare con l’elettronica. Tutto virava verso un nodo epocale che di lì a pochi mesi avrebbe (ri)incoronato i santi patroni de clubbing: quei Daft Punk ribaditisi capaci di incassi milionari anche in tempo di crisi, in barba a Fabio Nirta, affidando il loro disco e la loro alle stesse analogie e ai medesimi strumenti analogici. E non a caso, quella sera, il trio si era lanciato in una cover del duo francese, ribadendo uno strano parallelismo che affonda la similitudine in un concetto di scena che può anche non avere a che fare nulla con le interazioni reali. È una questione di mentalità. E nella gara agonistica verso il primato forse Rodion poteva esserci arrivato per primo a questo rinverdire gli anni 70 a suon di strumenti analogici e classicità, dato che era febbraio; ma cos’importa? Gli ultimi saranno i primi in certi libri magari e non in questo purgatorio e poi chi può dirlo? Resta il fatto che in amor vince chi ha i soldi e da questo postulato non si fugge, eppure la necessità talvolta diviene virtù.

“Facevo l’insegnate di pianoforte,  dopo essermi diplomato al conservatorio, ma era stressante”, mi racconta Rodion pochi giorni dopo. Era lo scorso inverno, eravamo seduti comodi sui divanetti del Fanfulla e si rideva un po’ ripensando alle note stampa di qualche anno prima: “L’accostarmi ai Justice è stata un furbata: a quei tempi erano loro i nuovi eroi del clubbing”; oggi, con il ritorno dei già citati Daft Punk e una manciata di tracce di Rodion che escono su compilation francesi, il paragone sarebbe suonato diverso, pur conservando squisite differenze seppure meno sporche e fuori luogo. Lo spettro degli oscillatori di Moroder si agita da sempre dietro la coscienza stilistica di Edoardo, da molto prima che anche mia figlia sapesse che qualcuno lo chiama Giorgio; non a caso Rodion è un tastierista, uno di quei pianisti che considera celestiale il proprio strumento: “ Studiavo organo, in chiesa, o meglio musica sacra, non so se mi abbiano cacciato a calci in culo loro o me ne sia andato io”, ci rivela, tornando tra le navate laterali della cattedrale che il suo sound sta tentando di costruire. Ecco ancora il cantiere: perché il cambiamento è costante e dipende da ciò a cui la vita ci mette difronte.

rodion

Ad esempio, Edoardo, ha deciso di intraprendere questa mutazione dopo un periodo d’iperattività che, un po’ per arte e un po’ per sopravvivenza, lo ha indotto a vestire spessissimo i panni del dj. “Esco da una storia d’amore durata sei anni”, mi confessa, e chi osa dire che si tratti di gossip fa un po’ di confusione tra Freud e Signorini, ma ormai ci sono abituato. Il fatto è che da allora, ovvero dall’estate del 2012, Rodion si è buttato nel lavoro, per via della libido, con un solo mantra: “Lasciare i demoni a casa o portarli tutti con te a fare festa”. Ed ecco la parolina magica: il party. Il cambiamento parte da lì: “Molto lo devo ai miei dj-set: se stai in studio magari tiri fuori cose originali ma non hai idea di come funzionino in pista”. Ed è quindi  diventato l’attrazione di after divenuti una consuetudine romana: “Una stagione di ste feste ti fa capire una marea di cose, tra le quali alcune statuizioni sull’essenzialità; certo, c’è anche il lato marcio che ti leva anni di vita, ma è anche l’input che ti fa apprendere come incastrare gli elementi in maniera anticonvenzionale”. Ad esempio? viene subito da domandargli. “Che la coca è un po’ come Mc.Donalds: lo sai che il giorno dopo ti farà stare un po’ male ma ogni tanto ci caschi, perché  la droga ha generato un modo di fare musica, è quasi necessaria: ti consente di abbandonarti al sound e a poco altro, almeno in certe circostanze”. Discorsi inopportuni? Robe da tossici? Sono spicchi di realtà ed anche metafore, ma se qualcuno ha confuso Freud con Signorini, del resto, è facile che non tenga nella dovuta considerazione Mancuso e soprattutto Levan e Ron Hardy, ovvero il bandolo di una matassa chiamata ancora dance; eppure sono queste tipologie di party che forgiano l’attitudine stemperando la materia grezza: “Gli after ti danno la libertà di avere un’attitudine da utilizzare anche altrove”. Certo, darsi ai giradischi è anche una questione di sopravvivenza economica: “Non pago affitto e vivo da solo, dato che i miei vivono in Turchia da anni, spendo poco per il resto e mi sono fatto un po’ di calcoli, ovvero che se mi danno 100 euro per mettere i dischi preferisco impartire lezioni di musica ai ragazzini”, ma fare il dj è anche il punto di partenza per comprendere altre mille differenze. Difatti la terza, nuova, statuizione di Rodion è questa: “Ci ho messo 20 anni prima di capire che la dimensione base è la band, non voglio più vedere il laptop, quello è buono per stare su facebook non per suonare, tra l’altro se fai il dj non puoi guardare uno schermo e non le tette”.  Ovvio che a questo punto i nodi vengano al pettine e i moralismi potrebbero sprecarsi, almeno per quanto riguarda i detrattori, eppure l’essenziale è un’altra cosa: per chi non se ne fosse accorto manca ancora la statuizione numero due.

L’anello mancante è pertinente al recuperare se stessi ed anche un concetto di armonia meno caotica e più universale. La parolina magica è il nome che hanno attribuito ad un particolare tipo di techno: “La minimal ha il pregio di avermi fatto comprendere che l’importante è l’essenziale, solo che il confine con la monotonia è labile”, spiega Edoardo con un occhio alla finezza delle ritmiche e l’altro alla paura di annoiare ed annoiarsi. Ma, mentre per non scadere nella dozzinalità ha dovuto trovare da sé una via che oggi alimenta il carattere del suo terzetto, per comprendere il postulato dell’essenzialità ha avuto un maestro; la frase cardine di questa svolta ideologica gliel’ha fornita Hugo Sanchez ed è questa: “Se lavori con macchine analogiche, premi un bottone e se hai avuto culo fermati”. Tant’è che all’autore Ed dà il merito, oltre che di questo epocale cambiamento, anche del nuovo seguito che si agita in pista e sotto il palco. E poi con il corpulento e storico dj che gli sta facendo anche da maestro, Rodion condivide, tra l’altro, anche un progetto nato da qualche bottone e da 4 mani: Alien Alien.

C’è da dire che le collaborazioni sono, pure indipendentemente da Sanchez, il suo pane quotidiano. “Dopo il primo disco ho inciso un sacco di singoli perché mi andava di lavorare con altra gente ed altre etichette”. Un paio di anni fa, sempre nella decadente cornice del quartiere Pigneto, l’agglomerato urbano della Capitale che racchiude la tangenziale est e i due club citati in questa intervista, Edoardo aveva dato una mano a Cascao e Lady Maru: “Il loro problema sono i live e torniamo quindi al discorso del laptop che reggono il palco, però adesso sono sono migliorati: all’inizio dovevo fare tutto io che sono anche un po’ il loro censore”. Adesso, invece, è al lavoro con dei ragazzi orientali: “Sto producendo il disco di una band cinese, sono i Nova Heart e sono stato due volte con loro in Cina e Malesia; ci siamo incontrati a Istanbul, dato che il fidanzato della cantante è tedesco e conosce i tipi della label per la quale escono la maggior parte dei miei dischi, la Gomma Records”. Ma, tralasciando le cose che esulano dalla disco, la più importante tra questi scambi di note e file si snoda lungo l’asse Roma-Pescara, anzi Roma-Chieti e approda in Germania.

“Appennini è il mio progetto con Fabrizio Mammarella, ci abbiamo lavorato fin dal 2008 e infatti i pezzi che sono usciti sono vecchi, ne abbiamo 14 e li faremo uscire per la Slow Motion”, ci spiega Ed riannodando il suo percorso a quelle due città abruzzesi divenute il centro nodale dell’italodisco. “Sono stato lì a suonare la prima volta nel 2006 ed è ne sono nate amicizie che coltiviamo tra Tipografie, cene a casa mia e studi di registrazione”, sono infatti questi tre i luoghi che diventano sedi di una scena fatta di legami indissolubili. Ma Rodion attualmente sembra discostarsi un po’ dal suo recente passato. “Negli ultimi due o tre anni l’italo e la nu disco sono uno sbrodolamento di coglioni; le cose che faccio adesso non sono minimal, ma hanno meno armonia, tendono alla psichedelia dei 70 e tolgono via il barocco dell’italodisco. Sono in fissa con la psichedelia e con Alejandro Paz: sensibilità club fatta in 5 minuti”.

E, in effetti, ascoltando il terzetto composto da Edoardo alle tastiere, Simone al basso e Gilberto alla batteria l’impressione è proprio questa. È un po’ come se i Pink Floyd si fossero invaghiti del sound del Paradise Garage e del Loft, intendendo per Loft sia quello di Mancuso che quello in cui Ed mette i dischi tra le 6 del mattino di sabato e le 13 di domenica spesso e volentieri. Paragoni mirati a rendere comprensibile quello che sta accadendo nella sala prove del Forte Fanfulla e in quei 5 concerti nei quali hanno presentato i brani al pubblico. Ad ogni live migliorano. E ciò che sorprende è l’armonia che cresce ad entrambi i lati del palco. C’è amore. Un amore fatto di passioni comuni, di posti, vecchi dischi, sesso psicotropo, vinili consumati e bicchieri sempre pieni, di feste, accoppiamenti e spostamenti lungo l’autostrada che porta da Roma in Abruzzo o verso l’estero, Berlino in testa.

Un tipo mi ha detto che non ha senso chiamare ancora il progetto Rodion, che adesso è un’altra cosa e mi ha confermato che, talvolta, il cambiamento destabilizza più che essere propulsivo, alla fine non siamo tutti temerari. Dal canto mio non vedo l’ora che le take vengano mixate e masterizzate da Edorado, anche perché gli altri due terzi della band ne sono entusiasti. Ebbene sì: hanno già registrato Per una volta riesco a non intristirmi anche del vintage che permea il lavoro. Ed dice che “I pezzi che funzionano sono quelli che a prescindere dall’arrangiamento ti piacciono, il problema è che le sonorità invecchiano” e io sono d’accordo. Ben vengano dunque brani senza tempo. Ben vengano allora e presto fuori dalle stanze buie dei sobborghi di una città per andare incontro al mondo. Il cambiamento non è fatto per restare chiuso in cantina.

Stefano Cuzzocrea

  • gilpsych

    grazie Stefano, è un saggio/articolo bellissimo,. mi sono quasi commosso. Complimenti ed un abbraccio. gilberto.