Italia latina: questa versione non è da tradurre

di 2bePOP - 10 giugno 2013

italia-latinaAi detrattori della musica latina, o a chi la associa solo ai club di provincia pieni di papponi e vecchietti assoldati dalle scuole di ballo, un festival dedicato al sound dei caraibi può suscitare scherno o, nella migliore delle ipotesi, indifferenza.

Eppure quelle melodie sensuali e goderecce, che nel mondo accompagnano le giornate di almeno 500 milioni di persone, si celebrano ogni anno proprio in Italia con uno degli eventi tematici più importanti a livello internazionale.

Oggi il Latinoamericando, con la 23° edizione che apre i battenti il 13 giugno nel piazzale del Forum di Assago, a Milano, è considerato il principale festival europeo di musica latina: 61 giorni di concerti, serate a tema e corsi di ballo, ma anche eventi come reading, incontri con autori e artisti, e tavole rotonde sulla storia e la cultura dei singoli Paesi di quel variegato continente che inizia a sud del rio Bravo, in Messico, e finisce nei ghiacci della Patagonia argentina.

 

 

È il business, bellezza, ma non solo: il festival, negli anni, è diventato un solido avamposto per promuovere la cultura latina in Italia, ma anche la casa delle comunità latinoamericane residenti in Lombardia e al Nord, che tra l’altro possono contare – nel giorno della festa dedicata al loro Paese – sull’ingresso gratuito e su iniziative speciali.

Per alcuni di loro Latinoamericando è diventato un posto di lavoro, anche se solo per pochi mesi all’anno.

Così l’inclusione, fin dall’inizio, ha fatto breccia nelle rigide regole del business perché così era fatto José “Pepe” Fabiani, un dispensatore di sorrisi ed energia che nel 1991 fondò il festival insieme alla moglie Franca, che oggi è direttrice artistica della manifestazione.

Nel 2011 Fabiani è venuto a mancare, ma è grazie a lui – un italo-peruviano emigrato a Milano nel 1986 e impiegato al consolato della città – se un festival iniziato quasi per gioco è diventato un evento da 300mila spettatori l’anno, vetrina delle voci più importanti della tradizione musicale latina.

L’idea era quella di un ponte tra la cultura latina e l’Italia, ma allora, ad imporsi, fu anche la voglia di colorare con il suono delle trombe e dei congas il rigore architettonico del castello sforzesco e il troppo equilibrio delle notti d’estate milanesi, e così tutto cominciò: 23 anni fa, in piazza del Cannone, sul palcoscenico c’erano alcuni gruppi anonimi raccattati da “Pepe”tra gli amici immigrati, mentre oggi ad aprire il festival ci sono i celebri Van Van, che trent’anni fa furono i primi a mescolare il son cubano con il jazz, dando vita a un genere nuovo che prese il nome di “songo”.

 

 

 

Cuba, manco a dirlo, è uno dei Paesi più rappresentati: il 6 luglio sarà di scena Manolito y su Trabuco, uno di quei gruppi che meritano di essere visti dal vivo e consigliati a chi vuole rendersi di quale energia possa sprigionare un gruppo di salsa con 17 musicisti sul palco, guidai dal carismatico Manolito Simonet, famoso come el profesor.

Il 9 agosto sarà la volta della Charanga Habanera, uno dei gruppi più popolari nell’isola dei Castro: anche loro, sul palco, tra musicisti e cantanti/ballerini sono più di una squadra di calcio, difficile tenere gli occhi fermi su un punto del palco. David Calzado, insieme alla sua Charanga, ha scritto canzoni come Gozando en Miami e Hay mujeres, sparate a tutto volume dai vecchi hi-fi delle Chevrolet anni ’50 e che sono subito diventate degli inni nazionali.

Ma ce n’è per tutti gusti, compresa la bachata, ovvero l’anima più romantica della musica latina, per intenderci quelle canzoni che dopo pochi secondi fanno pensare a letti disfatti e odore di sesso. Uno dei maggiori talenti del genere è sicuramente Prince Royce, nato negli Stati Uniti da genitori dominicani, sul palco del Latinoamericando la sera del 20 giugno.

E il reggaeton? Si balla incollati, con coppie che tra un basso e l’altro mimano veri amplessi mentre i gruppi femministi di mezzo mondo lo hanno bollato come genere «maschilista e sessista». Eppure piace, anche a molte donne. Ad Assago il 27 giugno arriva il portoricano Daddy Yankee, padre del reggaeton: fu lui, nel 2005, l’autore de La gasolina, brano che spopolò nel mondo consacrando la nascita del genere: la canzone, tamarra come poche, ha un ritornello che fa così «-a ella le gusta la gasolina! -dame más gasolina!» (– a lei piace la benzina! – dammi più benzina!), con un chiaro doppio senso che non ha bisogno di interpretazioni.

Al festival non poteva mancare il Brasile, a cominciare da Claudia Leitte (13 luglio), una sorta di Laura Pausini in salsa carioca che è già una star e non solo nel suo Paese, dove riempie gli stadi. Bella presenza e bella voce, ha vinto anche un disco d’oro e uno di platino.

E per chi vuole sentire il sapore della samba ci sono gli Olodum (21 luglio), celebre gruppo di percussionisti-cantanti capace di trasformare la serata in un carnevale collettivo fino a mandarci a letto con il ritmo dei tamburi ancora stampato nella mente. Un gruppo che fin dalla fondazione ha unito alla musica l’impegno politico, denunciando il razzismo attraverso le sue canzoni.

Dopo il concerto – o prima – potete fermarvi in uno dei 16 ristoranti etnici o in uno dei tre bar del villaggio di Latinoamericando per sorseggiare un mojito e un cuba libre (ebbene sì, il Sudamerica ci ha donato alcuni tra i cocktail più bevuti al mondo) e magari senza farvi troppi pensieri: con l’iniziativa “guidatore designato”, se chi si mette al volante al ritorno avrà bevuto entro i limiti dello 0,5% di alcol, avrà in omaggio un’entrata gratis, ma solo dopo una verifica con l’alcol test.

Insomma, Salvador de Bahía, L’Avana, Caracas e Buenos Aires (c’è anche un’area dedicata alla electro milonga, nata dalla fusione tra i ritmi del tango e la musica elettronica) non sono mai state così vicine.

Immaginate poi il movimento di bacino – o di cadera, direbbero a Santo Domingo –  di una mulatta: esiste forse qualcosa di più pop?

Marco Todarello