Money @ Circolo degli artisti (live report)

di 2bePOP - 29 novembre 2013

money

Piove a dirotto. È un po’ come se il clima della loro Manchester ci tenesse ad accoglierli in un’Italia che li ignorava, almeno fino a poco fa. I Money arrivano al Circolo Degli Artisti di Roma quasi in contemporanea con il disastro che ha colpito la Sardegna. Il loro the Shadow of Haven, del resto, parla proprio di quell’essere tutto e niente che ammanta l’umanità e il suo rifiutare i drammi della realtà. Un album d’esordio che è come l’alba di un nuovo giorno o anche un arrivederci capace di commuovere. Un mondo all’ombra del paradiso.

Sono elucubrazioni. Dentro ci sono le poeticherie di Jamie Lee, paroliere e leader della band, che, lasciata la sua Londra, ha trovato se stesso nel gelo del nord. Con lui Charlie, Billy e Scott, tre musicisti che portano i primi nomi che vengono in mente di dare ad un anglosassone, abituati quindi ad una sorta di anonimato fin dal battesimo. Eppure sono stati loro a salvare il frontman dalla banalità. Dice di aver bruciato tutte le sue canzoni scritte prima di arrivare in quell’appartamento dove è nato il gruppo. Ora è proprio la maturità eterea e senza rete di salvataggio dei testi a fare la differenza. Ma il merito è soprattutto del complesso e dei suoi accordi se le parole riescono a mormorare ai cuori senza annoiarli.

Sono musicisti eccelsi e chirurgici, tant’è che prima dell’arrivo dello straniero si dedicavano a brani puramente strumentali. Tant’è che un’idea di prog psichedelico quanto traslato sulle moderne dinamiche di quello stile che qualcuno chiama indie resta l’asse portante, solido, di un live elegante e leggero come seta, visionario come un tessuto orientale arabescato.  Armonie e fughe che lasciano la monotonia in un angolo, bilanciando le pretese più intime e morbose di Lee. Lo attorniano, lo sostengono, lo salvano quando rischia di sprofondare.

Jamie resta , apparentemente, il padrone della scena. Profondo come un palombaro dell’anima. Caratterizzato da una scioltezza teatrale che conquista. Scalzo (ma non sempre). Ironico quanto serve. Forte di una tonalità vocale che ricorda il miglior Bono Vox degli esordi e simpatico intrattenitore che, come uno scherzo della natura, diventa comicamente ancora più familiare per il pubblico italiano in virtù di una spiccata somiglianza con Matteo Renzi; eppure, nonostante tutto questo, bravo e piacevole. Ammicca a signorine e giovanotti indistintamente, come da, professato, programma e palesate simpatie sessuali onnivore. Sa essere di compagnia. Non si scompone di fronte ad una platea risicata dal maltempo (sebbene sia venerdì) e anzi sa stabilire un’intimità cordiale. Un’atmosfera intima. È un amico insomma.

Accanto a lui le meditabonde e lisergiche gesta dei suoi eroi preferiti diventano spalla e salvezza, concedendosi lunghe passeggiate sul pentagramma prima che l’ego dell’artista possa annoiare. Sono coordinati. Restano concentrati. Hanno la fantasia di chi vuole esplorare altre dimensioni e la contemporaneità di chi non vuole discostarsi troppo dal seminato. Hanno già promesso che il prossimo album sarà parecchio più sperimentale, ma questo, se pure non troppo audace, resta uno tra i più belli di questo 2013; almeno per chi non disdegna il circuito pop.

A proposito di circoli pop: l’inizio e il finale dello show si somigliano: si comincia e si saluta con due ballad che stabiliscono chi sia il vero protagonista. Gli altri tre non tornano sul palco neppure dopo per l’inchino, dopo un brano soliste di Jamie. E quando anche Lee lascia il microfono lo show è finito, sceso come acqua fresca e dissetante. Un po’ le cascate che piovono là fuori facendo sembrare Manchester meno lontana e la fine sempre più vicina, seppure la performance è decisamente più fulminea di quell’estenuante temporale, forse troppo anzi. Ma è solo l’inizio. Per il resto però ci vorrà la prossima volta e un altro disco. E magari per allora il diluvio sarà già passato.

 

Stefano Cuzzocrea