N come nemesi

di 2bePOP - 20 giugno 2013

nemesiIl cielo è viola come il mio umore, le stelle lontane come i miei giorni migliori, l’afa diurna si confonde con quella delle mie notti. E’ appena passato il controllo: i puffi sono stati gentili e tutto, ma tanto di sonno non ne avevo stanotte, sebbene oggi in un’ora d’aria mi sono riscoperto iron man andando e tornando in venti minuti di bici, dal parco urbano, dove ho nuotato per mezz’ora buona, io che non ho mai fatto sport acquatici e che sento il piacevole dolore dei muscoli stracchi.

Mi sta venendo l’insonnia dello scrittore, dopo aver lottato sempre contro tutti i clichè; ho iniziato a fumare cigarillos non fumando più ganja, e mi ammazzo di seghe mentali come ogni sedicente intellettuale che si rispetti.

Se mi riduco come Pinketts, non nella scrittura, a volte piacevole, ma nell’autorappresentazione eletta a ragione di vita, siete autorizzati a spararmi a vista;  per fortuna ho smesso anche con i superalcolici, oltre che con quella merda di cocaina, ma pure questo stereotipo dell’uomo vissuto, rinchiuso e per questo in via di redenzione non lo sopporto più, seppur lo debba indossare per forza di cose, perché non posso cancellare la parte di vita che non mi piace premendo Delete e nemmeno posso fare Come Again col vinile dell’esistenza, e in realtà, non so neanche se davvero lo vorrei.

Quindi siamo qua, tra zanzare e Nemesi, schiamazzi notturni e pensieri incerti, progetti e ricordi, cercando di trovare nella solitudine quel contatto col circostante che De Andrè riteneva, d’accordo con Blaise Pascale, indispensabile per raggiungere le soluzioni ai problemi propri e addirittura degli altri, in uno slancio forse troppo romanticamente filantropo ma commovente nelle intenzioni.

Ho iniziato le lettere dell’Abbecedario critico verso gli aforismi, soprattutto quelli tatuati, e mi ritrovo a leggere un compendio di citazioni, tutte o quasi calzanti con la mia situazione, Le Pillole di Aristotele di Lou Marinoff, dopo aver terminato Platone è meglio del Prozac, che americanizzando e quindi tagliando assai pragmaticamente a fette secoli di pensieri filosofici da tutto il globo, un attimo mi entusiasma  e quello dopo mi fa storcere il naso. E’giusta la filosofia divulgativa e dialogica, o è solo un polpettone commerciale e la teoretica le è superiore per definizione ontologica?

Sono dimidiato, tra attuale volontà apollinea di solitudine e passata dionisiaca attrazione verso il convivio più sfrenato, che in realtà in questa fase, come disse la volpe all’uva, non mi manca neanche un po’, tra moralismo tardo giovanile e sempiterno banditismo intellettuale, sospeso come un’infuocata spada di Damocle sopra la mia stessa testa.

Dalla finestra vedo ragazzi ubriachi con le magliette dei Black Flag, notoriamente straight edge, che cadono dalla bici sconnessi come me pochi mesi fa -li manderei in premio una settimana a casa di Henry Rollins- e mi fanno pensare parecchio, loro, io e il genere umano tutto, la cui ricchezza e, al contempo, la cui miseria sono date dalla mancanza di coerenza  e dalla dicotomia paradossale delle azioni degli uomini che lo compongono, per non parlare delle donne. Del superamento della misoginia parlerò alla prossima lettera, la O.

Rifletto sulla discrasia eterna che si genera tra passione e volontà, tra carne e mente, tra desideri e azioni, tra controllo e Kaos, che mi inquieta oltre ogni dire e scrivere.

La misantropia è segno di redenzione o è un’ulteriore perversione contratta  nel lazzaretto della vita? Inizio a perdermi nel labirinto delle contrapposizioni, ammaliato e nauseato dai miei compagni ossimori.

Sto diventando terribilmente pesante e non è colpa della cena indigesta: continuo una dieta quasi pedissequa- sarà quello, quindi?

In realtà lo sono sempre stato dandy, in linea coi grandi buffoni di ogni era, Totò docet, che ridevano e facevano sbellicare astanti e spettatori remoti, per non piangere essi stessi in primis. 

Pimp per non essere ossianico, wigger per non diventare wasp, sono partito comunista all’andata e mi ritrovo elitista di ritorno, I against I come i Bad Brains, incastrato dalla realtà ma incantato dalla rappresentazione, 90% John Belushi e 10%Partito Nazista dell’Illinois- io li odio i nazisti dell’Illinois (cit.), che se ci fosse una deportazione il primo a essere caricato sarei io- visto  che Hegel l’ho imparato senza volerlo, e se sto così è perché ciò che razionale è reale, ma non esiste situazione che non si possa ribaltare, come dimostrò Marx nella sinistra interpretazione rovesciata del suo grande maestro.

Fatalista e tragicamente sanguinolento nel mio essere lavicamente rappreso nella mia catanesità e al contempo gentile e arguto cittadino del mondo contro il “melenzanismo” #  odiato da mio padre prima che da me, alieutico pirata vitalistico e nomade di vocazione ma fortemente radicato nel territorio della sicurezza bibliofila, domatore di parole luccicanti e sguinzagliatore di fatti tremendi, intellettuale e bandito, depresso cronico ed esaltato rapsodico, amante degli sport ma castigatore dei costumi, io che li ho indossati tutti, da quelli balneari a quelli di un triste carnevale fuori stagione.

Il solito Zen impossibile da raggiungere,  spinto dalla curiosità insaziabile, forse cerco di afferrare la luna per sentirmi come Socrate e fratello di Orlando; per  calmarmi mi dico che non sono solo sulla barca della schizofrenia, che vivo in un mondo in cui i bianchi fanno di tutto per avere la pelle scura, i neri -anche quelli che uno potrebbe presumere proud tipo Vybz Kartell- di peggio per schiarirsela, quelli coi capelli ricci se li allisciano e i lisci si fanno la permanente, di uomini della scena reggae che predicano bene e spazzolano tutto, di insegnanti di pugilato che dicono che la boxe è un rimedio contro la violenza e di pugili che fanno finta di crederci,  di telecronisti che si scandalizzano sull’uso del doping dei ciclisti dopo averli visti correre sotto la neve in salita  come se scappassero dalla fine del mondo su delle astronavi, di giudici che condannano schifati gli imputati che li fanno mangiare e manco poco, di ladri di milioni di euro in giacca e cravatta che prendono condanne inferiori a chi ruba per mangiare, di politici che al mattino stilano le leggi antidroga bilanciate la sera da party pro-droga, un mondo popolato da quelli che dicono di essere contro Berlusconi ma ripropongono al proprio fianco donne ancor più plasticate delle accompagnatrici del nemico tanto additato, dai poliziotti da 1200 euro al mese che caricano a manganellate operai da 1200 euro al mese per salvare il culo a manager da 12000 euro al mese, di comunisti che la sera sono al centro sociale a stringere pugni chiusi e sbatterli contenti e tronfi contro quelli dei compagni uniti contro il precariato e il mattino dopo stentano a pagare i praticanti del loro studio 100 euro al mese, di autori televisivi col volto del Duce sul telefonino e la moglie ebrea che li fa lavorare per pietà.

Un mondo che ho spesso odiato, talvolta amato e che sempre vivrò, in cui mi specchio ogni giorno come nel lago che spaventò Narciso, cercando  di tenere botta, facendo di necessità virtù, dopo avere sprecato troppo tempo a trasformare il superfluo in vizio.

 

P.S.: Come avrete ben capito alterno stili e umori come bastone e carota; la colpa non è mia ma degli amici che ho in testa, che spesso litigano per chi deve dire la sua. Il livore di oggi, grazie alla mia cometa dalle sembianze di Tao, sarà stemperato nei colori della prossima lettera, un inno alla vita: O come Origine del Mondo.

 

P.P.S.: Avrete anche riscontrato una ridondanza con una precedente lettera, almeno nell’anatema antisocietario e nello specchiarsi. Uccidere l’autorappresentazione del sé e il conseguente specchiamento costante non è opera da poco, ma da pochi. Ci stiamo lavorando.

# per “melenzanismo”, mio padre e io con lui, intende la tendenza ortiva, terragna, statica, da contrapporre a quella dinamica e marittima, alieutica appunto,  di assegnare importanza antropologica eccessiva e sclerotizzante, nell’interazione sociale, al luogo di nascita: in poche parole, se sei catanese, milanese, nato al primo piano o al quinto, nella nostra conoscenza non biblica, beh, preferisco apprezzarti od odiarti, o talvolta ignorarti, per quello che dici o scrivi,senza esibire documenti d’identità fisici o immaginari, in maniera da eliminare il blasone geografico dall’interazione umana. Una sorta di rifiuto del campanile come motivo di esistere, come una lettera di dichiarazione d’amore all’antropologia culturale dopo averla amata e abbandonata.

Per vedere il suo blog andate su http://tinovittorio.blogspot.it/

Sempre per l’inversione dei ruoli di cui alla lettera precedente, io ho consigliato il libro di Marinoff a mio padre, e lui l’ha stroncato, ma non è riuscito nell’intento, perché già in parte, lo yankee mi aveva  rotto il cazzo pure a me.

Oggi mi sono vendicato smorzando il suo entusiasmo per un album appena uscito, mi sembra si chiami Shine on you crazy diamond, di un gruppo emergente, tali Pink Floyd.

Gianluca Vittorio